Villa Rampazzo

Repeta, Beregan, Clementi, Negri de Salvi
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Scheda Storica

Situata al termine della strada che corre lungo l’argine del canale Bisatto, in un luogo un tempo chiamato “Contrà della Volta del Fiume”, la villa si trova ora al centro di una moderna azienda agricola. Si riporta la scheda descrittiva ad opera di Barnaba Seraglio, contenuta nel volume “Ville venete: la provincia di Vicenza”.

“La facciata principale, orientata a sud, verso il canale, è tripartita da un settore centrale concluso da un timpano con vasi acroteriali. Il portale centinato, incorniciato in pietra e affiancato da due finestre rettangolari, è sovrastato da tre finestre balaustrate, di cui la centrale ad arco. In ciascun settore laterale si distribuiscono due assi di finestre rettangolari, intervallati da una pausa muraria. Ai lati, più basse e simmetriche, due adiacenze sono scandite da finestre rettangolari, porte centinate e aperture ovali disposte in modo irregolare. Dall’ingresso si accede a un salone rettangolare con tracce di decorazioni a stucco, verso il quale si aprono due stanze per ogni lato; mentre a nord tre archi, di cui quello centrale cieco, introducono alle due rampe della scala, con gradini in pietra e balaustra in marmo, che porta al piano nobile, organizzato come il pianoterra”.

Già nel Cinquecento esisteva l’impianto di tale edificio, una casa dominicale appartenuta ai Repeta e poi venduta nel 1632 ai Beregan che la risistemarono conferendovi la fisionomia odierna. Attualmente i proprietari sono i Rampazzo che la acquistarono dai Negri De Salvi. Dopo l’acquisizione dell’immobile, i Beregan procedettero alla sua sistemazione dando alla villa la connotazione attuale. Tali interventi sono descritti come “miglioramenti e acconciamenti fatti al detto luogo per ducati 110”.

La chiesa parrocchiale oggi è così descritta nel fascicolo “All’ombra del campanile”, n. 22, edito dal settimanale diocesano “La Voce dei Berici”: “… si distingue per una candida facciata tripartita da lesene corinzie; in ogni intecolumnio due nicchie centinate, l’una sopra l’altra, ospitano statue di santi: Pietro e Paolo apostoli, Giovanni Battista e Luigi Gonzaga; al centro della facciata, si apre un portale ad edicola, preceduto da una gradinata, e sopra, in asse, un bel rosone circolare; la sommità è coronata da un fastigio emisferico affiancato da volute e da due acroteri. Sul lato destro della chiesa si erge il campanile.

All’interno lo spazio si presenta come un’aula unica su cui si affacciano quattro cappelle laterali e l’abside; le campate sono scandite da lesene dipinte a finto marmo che si concludono con raffinati capitelli corinzi. Un cornicione aggettante percorre la sommità delle pareti alla base della volta del soffitto. I sottarchi di accesso alle cappelle e le porte laterali sono decorati con elementi di gusto classico.
Il presbiterio è introdotto da un grande arco trionfale che inquadra prospetticamente l’abside sulla cui parete di fondo cinque nicchie di varia grandezza ed altezza permettono di intravvedere le canne dell’organo. In alto, tra le due nicchie maggiori, campeggia la bella pala centinata raffigurante la Trinità tra due santi. Padre, Figlio e Spirito Santo sono proposti secondo l’iconografia di origine nordica del “Trono di Grazia” con il Padre che sorregge e presenta il Figlio in croce e lo Spirito Santo sotto forma sotto forma di colomba. Interessante è inoltre la figuretta in ginocchio, forse il committente, che raccoglie in una coppa il sangue di Cristo. La pala è del 1632, data riportata nel cartiglio alla base della croce. L’altare maggiore, in pietra scolpita, è in lineare stile neoclassico. Il presbiterio si conclude con una cupola affrescata con l’immagine della Vergine e alla base, sui quattro pennacchi, le allegorie delle Virtù cardinali. Presso le cappelle laterali vi sono gli altari: dedicati alla Vergine (XVII secolo) e alla Madonna del Rosario (1696) sulla parete sinistra; a San Luigi Gonzaga (XIX secolo), a Sant’Antonio da Padova (1718) e al Sacro Cuore (1923) presso la parete destra.

L’altare della Vergine è un pregevole esempio di fantasioso stile barocco che sembra la risultanza di almeno due diverse maestranze. Il paliotto e il tabernacolo sono in marmo rosso con profili e sculture realizzate in un bellissimo marmo candido. Gli elementi scolpiti sono eseguiti con una raffinatezza e una perizia tecnica avvicinabili per fattura all’altare maggiore di Pianezze del Lago. Degna di nota è la cornice della nicchia con la statua della Madonna: vi sono scolpiti, tra cortine di nuvole, una coppia di angeli e cherubini reggenti una corona di fiori per la Madonna”.

I Beregan erano una famiglia vicentina aggregata alla nobiltà veneziana nel 1649. Di essa sappiamo che fin dal 1424 si dedicava alla redditizia arte della lana, molto fiorente allora a Vicenza. La fortuna economica, conquistata col duplice commercio della lana e della seta, procurò i mezzi a Giovanni Battista, a Carlo, ad Alessandro e a Nicolò, per pagare sessantamila ducati alla Repubblica Veneta e per depositarne in zecca altri quarantamila, ottenendo così la loro iscrizione nella nobiltà veneta. La famiglia riuscì ad accumulare ingenti fortune, cosicché, a partire dai primissimi anni del Seicento, Baldissera (Baldassare) Beregan avviò un’efficiente politica di investimenti fondiari nell’Alto e Basso Vicentino che, oltre a rafforzarne le basi economiche, permise al casato di prendere le distanze dalle proprie origini mercantili e di stringere accordi matrimoniali con le maggiori famiglie dell’aristocrazia locale.

Sposato con Ippolita Amatori, di antica stirpe vicentina, si deve sempre a Baldassare una fruttuosa politica d’infiltrazione nell’aristocrazia locale tramite l’imparentamento per matrimonio, come dimostrano le nozze dei suoi figli Alessandro e Carlo, rispettivamente con Faustina Chiericati e Paola Trissino, appartenenti a due tra le massime dinastie cittadine, e della primogenita Leonora con Marc’Antonio Monza – osserva Giada Viviani, autrice di una ben documentata ricerca sui Beregan e in particolare sulla figura di Nicolò, figlio di Alessandro.

Gianlorenzo Ferrarotto, invece, nella sua pubblicazione “Ascesa e declino di una nobile famiglia vicentina: i Beregan”, ha ricostruito le vicende patrimoniali dei Beregan, riportando – tra l’altro – la descrizione dei beni acquisiti ad Albettone.

Ad Albettone, infatti, Baldissera acquistò dapprima “una possessione de campi 120 incirca posta in contrà della Volta del Fiume, acquistata dalli signori Repetta con instrumento 2 febbraio 1627, nodaro Camillo Basegio, ducati 12.650”, poi “una casa e campi quattro incirca in contrà della Volta del Fiume acquistati da Bernardin di Gregori con instrumento 19 maggio 1632, nodaro Oratio Florian”; successivamente, nello stesso anno acquistò ad Albettone la casa dominicale appartenuta ai Repeta (la “Palazzina”, poi chiamata la Ca’ Beregana, oggi villa Rampazzo) posta in contrà Val d’Oca, nei pressi dell’ansa – denominata Volta del Fiume – che forma il canale Bisatto prima di giungere nel centro storico di Albettone. Nell’atto d’acquisto si legge che “Il giorno de luni ventidue novembre in Vicenza in casa dell’infrascritto s.r Beregani posta in contrà di Santi Apostoli Sindacaria di S. Michele…il conte Enea Repeta qm. Zuanne …(per) 500 ducati ha venduto et alienato a Baldissera Beregan qm. Giobatta, che ha stipulato et acquistato per sé e successori suoi una casa murata, cupata et solarata e corte e campi sei incirca …parte arativi e parte prativi, piantati de mele, arbori et altri fruttuosi posti nelle pertinenze dell’Albetton in contrà della Val dell’Oca, confinano tre parti con nobile conte Enea e per altri suoi beni, et dalla quarta parte col fiume Bacchiglione guardante la strada pubblica…”.

Dopo l’acquisizione dell’immobile, i Beregan procedettero alla sua sistemazione dando alla villa la connotazione attuale. Tali interventi sono descritti come “miglioramenti e acconciamenti fatti al detto luogo per ducati 110”.

Nel 1637 fu la volta della “possessione detta “la Monticella” de campi 120 incirca con casetta e casona posta in contrà del Colle, acquistata dalli signori Petrobelli e Confallonieri con instrumento 24 marzo 1637, nodaro Girolamo Sandri, ducati 11.600. Vennero in seguito acquistati terre e casoni ubicati in varie contrade (Giare, Val dell’Oca, Ca’ Schioppa).

L’apice di tale parabola economico-finanziaria venne raggiunto con la generazione successiva, ossia con i tre fratelli Giovanni Battista, Alessandro e Carlo, figli di Baldissera: morto il padre nel 1641, i tre fratelli spostarono definitivamente il centro dei loro interessi dal commercio all’ampliamento e gestione delle proprietà immobiliari in provincia, di cui entrarono a far parte ville, edifici d’uso, terreni agricoli e persino opifici. Nel 1642 i tre fratelli si divisero la cospicua eredità paterna e a Giovanni Battista andarono i beni di Albettone. Egli morì celibe nel 1652 e i suoi beni tornarono ai fratelli i quali se li spartirono nuovamente.

I Beregan mantennero le loro proprietà ad Albettone (oltre 400 campi e alcune case) fino agli inizi dell’Ottocento, quando, in seguito alle contribuzioni di guerra imposte dai Francesi nel Veneto e al conseguente indebitamento, furono costretti a vendere tutti i beni di famiglia. Anche le terre e gli immobili di Albettone, posseduti in quel periodo da Angela Beregan, vennero ceduti nel 1808 a Carlo Clementi, un ricco possidente di San Vito di Leguzzano, al prezzo di 44.884 lire; successivamente passarono al nobile Giovanni Battista De Salvi.

L’ultima discendente diretta dei Beregan morì a Pederobba nel 1899, senza lasciare eredi, precisa Gianlorenzo Ferrarotto nella sua pubblicazione dedicata ai Beregan. Ancor oggi esiste ad Albettone la via Ca’ Bregana, chiara storpiatura dell’autentico nome Beregan.