Torre Colombara e Palazzo municipale

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Scheda Storica

Tra il ‘500 e il ‘600 vennero edificate varie torri lungo il corso del Bisatto per il controllo della navigabilità, del traffico commerciale e per la custodia delle merci. La più antica sembra essere stata quella oggi non più visibile, perché inglobata nell’edificio che funge da municipio, cioè Palazzo Campiglia in piazza Umberto I ad Albettone. L’elegante “torre colombara”, denominata Malandrin, ancora visibile sul lato sinistro di tale piazza, in centro ad Albettone, probabilmente fu costruita più tardi dai Campiglia tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500 sulla riva destra del Bisatto. Da una mappa del 1603 essa appare più alta di com’è oggi: la struttura architettonica evidenzia una base a pianta quadrata sovrastata da un tamburo a forma di ottagono (il manufatto ora esistente con otto aperture ad oculo) sul quale si raccorda una cupola a nervature in rilievo ripartite secondo le cadenze del segmento inferiore. L’estremità sommitale è coronata da una piccola lanterna a sua volta ricoperta da una piccola cuspide semisferica sostenuta da due pilastrini situati ai lati opposti della struttura terminale.

Per la descrizione della colombara si riportano stralci della relazione storico-artistica allegata alla dichiarazione dell’interesse culturale particolarmente importante del manufatto, riconosciuta dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto in data 21 luglio 2011, a firma del Soprintendente arch. Gianna Gaudini, del Funzionario storico dell’arte dott.ssa Maristella Vecchiato e del Direttore regionale arch. Ugo Soragni.

“Nella prima metà dell’Ottocento, quando il farmacista di Noventa Vicentina, dott. Luciano Prosdocimi, giungeva in Albettone, osservava che in prossimità della piazza centrale, sorge un edificio con strombature a sghembo, simile ad un fortilizio con le finestre cerchiate con pietra di Nanto di probabile origine tardo quattrocentesca. Faceva forse parte di una corte adiacente…di cui ancora si vede il porticale di bella linea coi suoi mascheroni in chiave e con le modanature ben conservate. Sopra questo c’era forse una loggia le cui vecchie colonne non sono ancora scomparse…”. Descritto come padiglione di caccia, l’edificio, lambito dal torrente Bisatto e che sorge al sommo dell’argine, evoca nello stile la descrizione del solerte viaggiatore. Non è definibile l’originale destinazione d’uso, tuttavia è possibile una lettura del bene in un contesto architettonico più vasto della cui esistenza si conservano tracce nella composizione tipologica delle adiacenze. Insistono ancora sul luogo alcune consistenze e i resti di un colonnato che si ricongiunge prospetticamente ad un manufatto che chiude la vista ad ovest. Le rilevazioni catastali storiche evidenziano l’esistenza di una lunga architettura sviluppata a cortina articolata da est ad ovest, conclusa da un elemento angolare poligonale a ridosso del Bisatto. Era probabilmente costituita da un lungo portico colonnato i cui resti sono ancora visibili sul luogo.
Il padiglione è probabilmente l’esito di una trasformazione tardo quattrocentesca e presenta elementi decorativi e compositivi ispirati allo stile rinascimentale. In posizione discostata, ai margini del piccolo parco cittadino, il manufatto si presenta isolato. Ora inutilizzato, il bene si imposta su uno schema tipologico centralizzato, con pianta quadrata e perimetro di elevazione in laterizio parzialmente intonacato, con angoli e conci lapidei. L’ingresso è collocato a nord ed è affiancato da due aperture rettangolari in asse, contraddistinte da comici lisce in pietra. Il cubo è sormontato da un alto tamburo ottagonale concluso da copertura a falde. Sulle facce del poligono, con gli angoli che riprendono il motivo del rinforzo litico, si aprono finestre circolari definite da cornici in pietra di Vicenza alternate ad oculi chiusi che presentano bassorilievi moreschi sulla tamponatura. Una teoria di modiglioni in pietra gialla corona il sottogronda del tamburo e con i profili modanati del perimetro conferisce plasticità al prospetto. L’ingresso architravato e rialzato introduce all’unica stanza del fabbricato coperta da una volta a padiglione con vele laterali. L’interno presenta una partitura muraria in laterizio a vista ed è scevro da elementi decorativi. Sulla parete frontale si apre un piccolo vano che accoglie una scala a chiocciola in muratura costruita intorno ad un puntone centrale. Il vano circolare, addossato alla parete sud, si eleva fino all’imposta del tamburo ed è coperto da un cupolino semisferico. L’edificio versa in avanzato stato di degrado, con le superfici interne prive di intonaco e manifesti dissesti nelle componenti strutturali. L’esterno presenta tratti in cui l’intonaco risulta inalterato e porzioni erose dall’umidità.

Il complesso, già dichiarato di importante interesse ai sensi dell’art. 5 della legge n. 364/1909, con

provvedimento datato 30 ottobre 1933, presenta ancor oggi importante interesse culturale ai sensi
dell’art. 10 comma 3 lettera a), in quanto costituisce un esempio di architettura di incerta
destinazione d’uso, probabilmente adibito a padiglione di caccia un tempo collegato ad una corte
signorile, realizzato nel XV secolo, che costituisce un unicum in area vicentina, sia per le
caratteristiche tipologiche che per la fattura particolarmente accurata soprattutto nella esecuzione
dei dettagli esornativi”.

Per tutelare questo bene architettonico divenuto simbolo di Albettone, con rogito del notaio, dott.ssa Gaia Boschetti, in data 12 settembre 2012, si è costituita, su iniziativa del sig. Guelfo Malandrin, del Comune di Albettone e della Provincia di Vicenza, la “Fondazione Malandrin”, con sede in Albettone (VI). La fondazione intende attuare il recupero architettonico e ambientale dell’antico porto di Albettone e la sua valorizzazione attraverso iniziative di carattere culturale e artistico, volte anche a favorirne il godimento da parte della cittadinanza, nonché la valorizzazione degli aspetti che presentano particolare interesse artistico e storico, la valorizzazione della natura e dell’ambiente, la promozione della cultura e dell’arte.

Particolare della Colombara che mostrava una forma diversa da quella attuale.

Questo palazzo, di origine quattrocentesca fu fatto costruire dalla famiglia Campiglia.
Nonostante l’antichità attribuita al ramo famigliare dei Campiglia, essa risulta emergere dalla società cittadina solo nella seconda metà del ‘400 con la figura di Giovanni di Bartolomeo , considerato il capostipite .
Egli aveva sposato Bianca Rapeta, discendente del ramo dei Repeta signori e proprietari feudali del Castello di Campiglia dei Berici. Da questo matrimonio nacquero ben 10 figli , tra cui Paolo ,Marco e Antonio dai quali si sono sviluppati i tre rami principali della famiglia.

Nell’Estimo del 1544 , uno dei quattro figli di Antonio, Carlo, dichiara di possedere dei beni in Albettone da identificare con l’attuale Palazzo Municipale. Rimasto vedovo con due figli, Carlo inizio una relazione con Polissena Verlato dalla quale ebbe altri tre figli: Francesco , Antonio e la celebre poetessa Maddalena Campiglia alla quale e’ intitolato il Palazzo.
Questo non ha una struttura regolare, ma è stato costruito a più riprese e in epoche successive; la parte centrale è quella più antica, che costituiva l’antica torre di controllo sul porto lungo il canale Bisatto. Si tratta di un rettangolo di circa sette metri per dieci con una copertura a botte di mattoni, nella cui parete occidentale di forma trapezoidale si trova un muro di fortificazione, con lo spessore di un metro e mezzo. Esso si è reso necessario a causa del salone con soffitto a botte, ma anche come sostegno per l’edificio, innalzato nei pressi del canale, dove il terreno è sottoposto al fluire delle acque.
Inizialmente questo corpo centrale del fabbricato non aveva funzioni padronali, ma caratteri tipici di torre di guardia del ponte sul Bacchiglione- Bisattoi.

La costruzione della residenza padronale inglobò l’originaria torre portando alla costruzione di quella nuova , l’attuale “ Colombara” a fianco.

Si noti come il livello della costruzione era ben più basso, le lesene poste sul retro dell’edificio sono interrate per quasi la meta’ dell’altezza. Anche i saloni interni originariamente erano quindi ben più alti .
Agli inizi del Seicento risulta appartenere a Cesare Campiglia, figlio di Marc’Antonio e nipote di Carlo. Nella seconda metà del Seicento subentrò nella proprietà la famiglia nobile dei Zorzi che ad Albettone possedeva già una fornace e vari appezzamenti di terreno.

Dopo l’unità d’Italia il palazzo, di proprietà di Antonio Enea, venne affittato al Comune e divenne la sede municipale. Svolse tale funzione fino al secondo dopoguerra (precisamente fino al 14 ottobre 1949), quando l’Amministrazione comunale di Albettone, dopo aver acquistato villa Negri dalla famiglia Michelazzo, vi trasferì il municipio con tutti gli uffici. Allora, nell’ex municipio dismesso vennero ospitate le scuole elementari e la caserma dei carabinieri. In seguito, fu sede dell’asilo infantile fino alla costruzione della nuova scuola materna a Lovertino, avvenuta verso la fine del Novecento. Vecchia struttura, oramai pericolante, rimase un po’ abbandonata a se stessa, finché l’Amministrazione comunale promosse, a partire dal 2005, il recupero dello stabile grazie ai fondi di perequazione della ditta di escavazione Sig Spaii. Pertanto, lo storico edificio è ritornato alla sua antica funzione di sede municipale, oltre che sede della Pro loco Albettone.