La Fornace di Via Forni

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Scheda Storica

Fornace di Lovertino
Fornace di Lovolo

Una delle testimonianze più significative che conserva il territorio di Albettone è senza dubbio la presenza di alcune fornaci in stato di abbandono. Le attività industriali che più di altre hanno interessato la zona sono state l’estrazione di materiali per l’edilizia e la produzione di calce, già nota nel Cinquecento. Poco si conosce dei vecchi insediamenti che ad Albettone, a Lovolo e a Lovertino producevano calce per soddisfare le richieste della nostra area e delle province di Padova e Venezia.

Nel 1669 è documentata una fornace del nobile Zorzi dei Zorzi “nelle pertinenze del Beton, contrà dei Molini, riparata e rinovata”.

Agli inizi dell’800 lo storico Maccà ricordava i particolari vantaggi economici che trassero gli abitanti di Albettone, i quali potevano agevolmente inviare nelle città, tramite la via fluviale del canale Bisatto, la pietra calcarea da cui si ricava appunto la calce idraulica. Albettone, sotto questo profilo, era probabilmente la zona più intensamente frequentata del Basso Vicentino fino agli anni Sessanta del secolo scorso. In località Fornasette esisteva una fornace di laterizi, ora scomparsa, mentre ad Albettone e ancora ben visibile la grande fornace posta all’imbocco di una cava non più utilizzata; anche a Lovertino si osservano tuttora due fornaci, una in località S. Vito, l’altra nella contrada Castello.

Infine a Lovolo si trova una fornace ancora ben conservata con un camino molto ben elaborato nelle sue fattezze, che non trova riscontro in altre costruzioni simili presenti sui Colli Euganei.

L’illustre geologo e studioso Ramiro Fabiani, in una pubblicazione del 1930 osservava che nel comune di Albettone erano presenti tre cave di calcare marnoso del cretaceo superiore (scaglia) che si prestavano bene per la produzione di calce idraulica. Precisava poi che “una cava è esercitata dalla Società Industria Calci Idrauliche Albettone di Lorenzo Prosdocimi e c. Il materiale viene cotto in tre forni verticali capaci di produrre circa 70 quintali di calce al giorno. Una seconda cava è esercitata dai fratelli Rossi in località Lovolo ove si dispone anche di un forno verticale per la cottura. Una terza cava in località Lovertino è esercitata dalla ditta Giacomelli, la quale dispone di un forno verticale sul posto”.

“Nel 1925 – scrive don Isidoro Galantin nel cronistorico parrocchiale di Lovertino – fu inaugurata una seconda fornace da calce per opera del proprietario signor Giacomelli Antonio con il consocio Saliman Valentino, e nel giorno 9 giugno fu benedetta accendendone per la prima volta il fuoco. Alla sera il signor Giacomelli volle raccogliere tutti gli operai ed il parroco con i principali del paese in fraterna agape, dove alla fine disse belle parole di compiacimento del lavoro ben eseguito ed invitando gli operai alla fraterna unione e concordia con la parte padronale figurandola in quella calce che presto uscirà dalla fornace che unisce e cementa”.

La mappa del 1663 raffigura un appezzamento di terra sul quale si trova la fornace di Zorzi dei Zorzi

La formazione rocciosa più antica è rappresentata dalla “Scaglia Rossa”, calcari fittamente stratificati che affiorano nelle quote più basse dei Colli Berici, lungo la fascia pedecollinare da Mossano a Villaga, e nei rilievi di Albettone. Dal caratteristico colore rosato o rossastro con rare lenti di selce, questa scaglia lastriforme si è formata nel Cretacico superiore in ambiente pelagico da sedimenti molto fini di microscopici resti di organismi animali e vegetali.

Il calcare caratterizzò un tempo anche le costruzioni beriche. Per le vecchie case dei Berici veniva utilizzato il materiale disponibile sul posto, e cioè le pietre adattate al momento con mazzette e scalpelli, e legate con impasto di sabbia e calce.

Negli angoli dei muri perimetrali, nei volti e nei contorni delle porte e delle finestre, nei pilastri dei portici veniva usata, invece, la pietra tenera più o meno rozzamente lavorata.

E dalle cave di pietra venivano estratti anche blocchi di piccole dimensioni che, opportunamente squadrati e lavorati, venivano trasformati in camini, abbeveratoi, acquai e lastre per pavimenti. Il calcare da taglio venne poi largamente utilizzato a Vicenza, Padova e Venezia dove veniva trasportato su zatteroni attraverso vari canali, in particolare il Bisatto.

La calce, invece, il più importante elemento costitutivo della malta, veniva prodotta artigianalmente cuocendo la pietra calcarea in piccoli forni, di forma conica per la fuoriuscita dell’anidride carbonica, costruiti vicino al luogo di estrazione.

Sin dal Cinquecento, in particolare, si estraeva ad Albettone la cosiddetta “calce negra”, nominata anche nel Quattro Libri del Palladio. Il grande architetto infatti scriveva che “si cavano ne i monti di Padoa (il riferimento è alle alture di Albettone e Lovertino e più in generale ai Colli Euganei) alcune pietre scagliose, la calce delle quali è eccellente nelle opere che si fanno ilao scoperto, & nell’acque: percioché presto fa presa, e si mantiene lungamente”. “Era ricercatissima per le proprietà semidrauliche ed era chiamata anche “calce “padovana” o “calcina brovada” – spiega il prof. Mario Piana, docente allo Iuav di Venezia ed esperto restauratore -. Tale calce, prodotta con calcari marnosi, a differenza di quella aerea, a contatto con l’acqua entrava in presa immediata. Consentiva quindi – aggiunge – un’ottima presa nelle murature fuori terra e permetteva di realizzare anche opere subacquee come fondazioni immerse in falde d’acqua superficiali”.